Le Regioni che hanno speso in sanità più di quanto programmato (e cioè più del 4,4% della loro spesa totale)
possono chiedere alle aziende da cui hanno comprato i dispositivi medici di restituire loro una cifra pari al
50% della spesa fatta in eccesso. Cosa c’entrano queste aziende con i conti sanitari sbagliati delle Regioni?
Niente, e, pur avendo venduto i loro prodotti alla Regione in seguito a regolari gare pubbliche, si vedono
sequestrare il loro legittimo guadagno. Un qualcosa di molto simile a un’estorsione.
Se lo Stato sfora il budget per curare gli italiani tocca alle aziende pagare di tasca propria. Entro il 16
gennaio il settore avrebbe dovuto “risarcire” le Regioni delle eccedenze maturate sugli ordini. Ma la
proroga decisa dal governo e confermata in un decreto-legge approvato in Consiglio dei ministri ha spostato
il pagamento al prossimo 30 aprile.

Il Payback sanitario sui dispositivi medici è stato approvato nel Decreto Aiuti bis e obbliga le aziende
del comparto Sanità a rimborsare il 50% delle spese effettuate in eccesso dalla regioni. E’ un
meccanismo nato per fronteggiare l’aumento di spesa sanitaria pubblica, quando le regioni superano i tetti di
spesa sanitari preventivati di anno in anno. Un meccanismo inoltre che vuole far pagare alle aziende italiane
gli sprechi delle Regioni. Con l’approvazione di questa normativa, secondo Fifo, si mette a rischio il tessuto
dei fornitori ospedalieri, composto per il 95% da micro, piccole e medie imprese, con oltre 100mila
lavoratori coinvolti. Potrebbero chiudere fino all’80% delle imprese coinvolte a danno dei lavoratori e della
sanità italiana.

Il fine ultimo del contenimento della spesa pubblica – ha aggiunto la Federazione – è sicuramente corretto,
ma il provvedimento del Payback è ingiusto e assolutamente vessatorio, perché deresponsabilizza gli
amministratori pubblici, penalizzando invece i produttori e i distributori di dispositivi medici. “Tutto ciò,
poi, potrebbe tradursi in una mancanza di forniture di dispositivi medici essenziali per la cura dei pazienti,
e dei servizi di assistenza tecnica agli ospedali, la cui importanza si è evidenziata durante la recente
pandemia.

Secondo i dati Fifo, per il quinquennio 2015-2020 le aziende dovrebbero restituire in media somme pari
a metà del proprio fatturato annuo (circa 3,6 miliardi di euro), con ingenti difficoltà fiscali, trattandosi di
bilanci già depositati, e con modalità vessatorie che prevedono anche la compensazione dei crediti vantati
dalle imprese fornitrici nei confronti delle aziende sanitarie.

Approvato il Decreto che proroga il pagamento al 30 aprile 2023, si è in attesa che la nuova Def,
il documento di economia e finanza, indichi se ci sono risorse per attenuare l’impatto del payback sulle
imprese, perché altrimenti c’è il rischio di dover fare i conti un deficit di forniture ai nostri ospedali.
L’accordo raggiunto prevede anche l’innalzamento del tetto per i dispositivi medici, che dall’attuale 4,4%
della spesa sanitaria complessiva verrebbe portato al 5,2%, riducendo così il deficit da dover poi risanare.

Tuttavia, un meccanismo così iniquo come il Payback sui dispositivi sanitari non va rinviato ma
semplicemente abolito.
Il rischio concreto è un’imminente mancanza di dispositivi medici negli ospedali con conseguente fallimento
per centinaia di PMI che distribuiscono dispositivi salvavita e altro materiale per il corretto svolgimento delle
attività chirurgiche. Potrebbero mancare negli ospedali in caso di stop forniture:

  • Sterilizzatori, disinfettanti e antisettici
  • Prodotti per la circolazione extracorporea
  • Protesi e valvole cardiache
  • Stent coronarici, cardiaci e vascolari
  • Dispositivi di protezione e accessori per radiologia e radioterapia
  • Dispositivi per traumatologia (ossa) e protesi ortopediche
  • Ventilatori polmonari per rianimazioni, terapie intensive, reparti covid
  • Strumentario e ferri chirurgici
  • Camici monouso, garze, bende, cerotti
  • Dispositivi per: dialisi – salvavita – per pronto soccorso

Sulla base dei dati resi pubblici dalla Corte dei Conti, per quanto riguarda i tetti di spesa 2015-2020, FIFO
ha stimato lo sforamento della spesa e il payback a carico delle imprese fornitrici del SSN. La spesa è
cresciuta nell’arco di tempo considerato del 18,3%, passando da 5,8 miliardi di euro nel 2015 a 6,8 nel 2020.
Nell’ultimo anno la spesa è cresciuta del 7,3%, pari in valore assoluto a oltre 460 milioni di euro.
Complessivamente il payback che le aziende sono tenute a pagare ammonterebbe alla cifra di 3,6 miliardi
di euro, che confrontata alla spesa annua pubblica in dispositivi medici ne rappresenta ben oltre il 50%.

«Se il Governo non cancella il Payback – ha dichiarato il presidente di Confindustria Dispositivi Medici,
Massimiliano Boggetti – deve avere il coraggio di dire chiaramente ai cittadini che non è in grado di
erogare salute pubblica. Se non viene fatta una seria programmazione sanitaria e si continuano a bandire
gare la cui somma dei valori aggiudicati supera il fondo sanitario regionale a disposizione, le Regioni
proseguiranno a sforare i tetti di spesa tutti gli anni. Il payback con i tetti di spesa imposti non è altro che
un modo per spostare sulle aziende fornitrici una parte dei costi sanitari che il Servizio sanitario dovrebbe
erogare per curare i cittadini, ma che lo Stato non vuole pagare.»

Il presidente di Confindustria dispositivi medici, Massimiliano Boggetti, in una lettera indirizzata al
presidente del Consiglio, Giorgia Meloni nella quale viene sottolineato anche che, imponendo tetti di spesa
così bassi, il risultato sarà una sanità senza innovazione: la qualità dei dispositivi medici si abbasserà,
l’innovazione tecnologica non entrerà più nelle strutture sanitarie e i medici si troveranno costretti a
lavorare senza avere strumenti all’avanguardia.

Anche per i cittadini e i pazienti il Payback è una norma ingiusta: chi potrà permetterselo continuerà a
curarsi privatamente a spese proprie, chi non potrà subirà in prima persona i danni derivanti da questa legge
nemica della Sanità Pubblica.